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 Sabato 28 ottobre alle ore 15 in piazza S.Girolamo, vicino al cpt di via Corelli che la polizia ha vietato di avvicanare, si è tenuta la manifestazione “Rompiamo il silenzio”-chiudiamo i cpt- cui hanno aderito Arci Milano, Centro delle culture, Naga, Partito della Rifondazione comunista, Partito Umanista, Fiom Milano, e molti altri.
La manifestazione è stata indetta per tentare ancora una volta di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla cattiva gestione delle politiche sull’immigrazione, sulla dominante esclusivamente repressiva delle stesse, sull’incostituzionalità di questi occulti “carceri aministrativi” chiamati cpt, sulle violenze quotidiane che li caratterizzano, e sull’omertà istituzionale che fà sì che la maggior parte dei cittadini non sappia cosa siano, cosa vi accada e quanto costino.
Il circolo culturale ANPI di Ispra si unisce al coro di tutti quelli che a viva voce lamentano l’assenza di politiche umane e lungimiranti, capaci di leggere l’ineluttabilità delle profonde trasformazioni globali che caratterizzano la storia del nostro continente, e di vedere nella figura dell’immigrato non solo un pericolo o un problema ma sopratutto una vittima e una risorsa. ( non solo per lo sfruttamento lavorativo).
Una politica che risponde all’emergenza umanitaria rappresentata dal crescente flusso migratorio, diretta conseguenza di un’ormai esasperata dicotomia fra mondo ricco e mondo povero, canalizzando i tre quarti delle risorse pubbliche spese in materia verso misure puramente repressive e lesive dei diritti fondamentali dell’uomo, ci sembra oltre che esecrabile e fascista, piccola e miope.
Parliamo alla fine del suo intervento pubblico con Amir Karar ( foto al centro) 23enne, pakistano, profugo torturato e perseguitato al suo paese, Amir ha provato sulla sua pelle il cpt di via Corelli ed è qui oggi per denunciarne sbalordito la profonda inciviltà e la violenza.
Franca Banti dell’ufficio stampa di PRESSenza ci ha poi gentilmente inviato un resoconto dettagliato della storia di Amir che pubblichiamo qui di seguito.
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 BREVE STORIA DI AMIR K.
Clandestino: per la legge italiana questo è stato a lungo Amir Karar,
pakistano, 23 anni. Ma come accade per tanti altri stranieri arrivati
nel nostro Paese, c’è qualcosa da aggiungere ai documenti veri e falsi,
alle richieste ufficiali, al foglio di via. Appartenente alla minoranza
sciita del Pakistan, dopo essere stato per due volte aggredito a causa
del suo attivismo politico, si è visto costretto a fuggire dal proprio
Paese. In Pakistan, Amir era segretario generale dell´Organizzazione
religiosa sciita Shiya Marquiz, e ancora il suo corpo ha evidenti segni
della violenza subita. Poi l’Italia, Arezzo, dove vive e lavora da due
anni, impegnandosi anche attivamente in un’attività di volontariato al
Centro delle Culture, associazione che si occupa di integrazione e
dialogo tra popoli e religioni diversi. Sempre da clandestino, come
detto, perché Amir non è mai rientrato in nessuna sanatoria né decreto
flussi. Mese dopo mese, anno dopo anno, fino a lunedì 4 settembre
quando, mentre si stava recando al lavoro, lo avvertono di non
presentarsi in fabbrica perché è in corso un controllo della polizia.
Della Digos, per la precisione, che impone al suo datore di lavoro di
richiamarlo e chiedergli di presentarsi: Amir ubbidisce e, quando
arriva, due agenti della Questura di Arezzo lo arrestano. Quindi gli
sequestrano la borsa nella quale c´è la fotocopia di un documento di
identità di un amico: non lo interrogano, ma sui verbali scrivono che
ha tentato di fornire una falsa identità . E quando finalmente lo
interrogano, le domande sono incentrate solo su possibili collegamenti
con gruppi eversivi pakistani: minacciano di farlo tornare al suo Paese
se non rivelerà nomi utili per le indagini. A niente serve far vedere
le cicatrici delle torture subite, alla fine Amir viene caricato su
un´auto e portato al CPT di via Corelli, a Milano. Dopo le 15 ore più
lunghe della sua vita, Amir arriva al Corelli, il personale della Croce
rossa lo fornisce di cuscino e lenzuola di carta, ma arrivato al letto
che gli è stato assegnato, gli altri occupanti della stanza lo mandano
via… Cerca di sdraiarsi su un altro letto ma viene ancora cacciato;
infine, riesce a mettersi su una branda senza materasso, ma non fa a
tempo a rilassarsi che gli rubano gli occhiali e tentano di prendergli
il cellulare. La mattina si mangiano la sua colazione e solo grazie
all´intervento di un ispettore di polizia riesce a garantirsi
finalmente un posto letto.
Nel frattempo gli amici di Amir, gli stessi che l´hanno subito
raggiunto in questura, si attivano. Creano un blog per Amir attraverso
il quale vengono raccolte in pochi giorni più di 4000 firme, chiedendo
il riconoscimento dello status di rifugiato, mentre l’8 settembre fuori
dal Corelli si svolge il primo presidio per Amir promosso dal Centro
delle Culture e dal Partito Umanista. Consigliato da suo avvocato, il
giovane pakistano fa intanto richiesta alla Croce Rossa di asilo
politico, ma quando poi si presenta con il legale davanti al giudice di
pace, ecco che si scopre che non è stata documentata la richiesta di
Asilo Politico, mentre la responsabile della Croce Rossa, prima nega di
averla mai ricevuta, poi si scusa dicendo che tanto doveva aspettare
comunque la convalida del Giudice.
Continua la “prigionia”, continuano le angherie fino a che Amir viene
finalmente spostato di reparto. Il clima è sempre pesante ma almeno
mangia e dorme. Nessuna visita, però: il regolamento non lo prevede.
Giovedì 14 settembre Amir deve presentarsi davanti alla commissione per
i Rifugiati Politici, ma l´attesa è vana: nonostante la Commissione in
prefettura si riunisca regolarmente e i suoi legali siano presenti, si
sono dimenticati di lui, insieme ad alcuni importanti documenti che
dovevano essere allegati alla richiesta. Ennesimo rinvio: i giorni di
Amir nel CPT scorrono lentamente, lo cambiano ancora di camerata. Nel
Centro ci sono molti delinquenti comuni, ma anche stranieri che hanno
solo commesso il reato di… essere nati in un altro Paese.
Dal Pakistan arrivano finalmente i documenti necessari alla richiesta
di Rifugiato Politico, ma non servono a impedire che il 28 settembre
Amir venga aggredito dagli stessi che l´avevano minacciato nei primi
giorni di prigionia. Mentre si riprende dalle botte, la commissione
prefettizia si riunisce ed esamina il materiale probatorio che vuole
dimostrare come Amir sia stato costretto dagli eventi e dalla mancanza
di legalità nel suo Paese a lasciare il Pakistan, dopo essere stato
vilmente aggredito in due occasioni, riportando gravi ferite i cui
segni sono tuttora visibili sul suo corpo. Dopo attenta analisi, la
commissione accoglie le richieste di Amir, ritenendo che “(…)sussiste
nei confronti dell´interessato l´esigenza di assicurare protezione
umanitaria”, così richiedendo e ottenendo dal Questore di Milano il
rilascio immediato del permesso di soggiorno per motivi umanitari in
applicazione della disposizione di cui all´art. 5, comma 6 del D. lgs.
286/1998.
Alle 13.10 del 29 settembre, l´Ufficio Immigrazione presso il C.P.T.
“A. Corelli” di Milano notifica ad Amir la decisione della Commissione
Territoriale per il riconoscimento dello status di rifugiato. Amir
lascia il centro alle 13.35, dopo aver vissuto un´esperienza da lui
definita di «allucinante inciviltà ” in un Centro che di fatto priva i
suoi ospiti della loro dignità di uomini».
Il personale della Croce rossa accompagna quindi Amir all’Ufficio
Immigrazione della Questura di Milano per gli adempimenti di legge:
libero finalmente. E non più clandestino.
Amir è finalmente libero, vive momenti pervasi da sentimenti
apparentemente contraddittori, l´intensa felicità per la libertÃ
recuperata con la consapevolezza che la Commissione gli ha restituito
il suo diritto ad essere equiparato al cittadino titolare di diritti,
oltre che di doveri, la fine del suo “status” di clandestino si
mescola all´amarezza di quei volti di non uomini lasciati lì, in quel
centro, uomini di cui ignora quale sarà la sorte e che probabilmente
non rivedrà mai più. Volti segnati dalla sofferenza e dalla tristezza
di una condizione di disagio di cui non sono colpevoli; uomini senza
diritti! Ma questi pensieri vengono a tratti interrotti dal suo
telefono che non smette di trillare. Sono i tanti amici che hanno
sofferto con lui e adesso tirano un sospiro di sollievo nella certezza
di riabbracciarlo presto. Un abbraccio simbolico che nella felicità del
momento esprime anche la sofferenza per coloro che rimangono al centro,
ovvero ivi giungeranno in futuro per essere ricacciati in un mondo
senza speranza
Sarà presto ultimato il blog ufficiale di Amir: www.c234.net\amirlibero\
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Siete più bigotti del Vaticano. Qua bisogna chiudere le frontiere.
Se entrano altre 100.000 persone dovremo costruire altri 100.000 cessi e tagliare 500.000 piante. La pressione dell’uomo sul territorio e sull’ambiente ha da tempo superato la soglia … Proporrei che queste persone siano tenute a casa vostra ed utilizzino il vostro cesso.