Qui sopra gli squadristi che hanno cercato di provocare incidenti attaccando il corteo degli studenti romani.
Pubblichiamo qui di seguito, un articolo di C.Maltese che era presente:
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Aveva l’aria di una mattina tranquilla nel centro di Roma. Nulla a che vedere
con gli anni Settanta. Negozi aperti, comitive di turisti, il mercatino
di Campo dè Fiori colmo di gente. Certo, c’era la manifestazione degli
studenti a bloccare il traffico. “Ma ormai siamo abituati, va avanti da
due settimane” sospira un vigile. Alle 11 si sentono le urla, in pochi
minuti un’onda di ragazzini in fuga da Piazza Navona invade le
bancarelle di Campo dè Fiori. Sono piccoli, quattordici anni al
massimo, spaventati, paonazzi.
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Davanti al Senato è partita la prima carica degli studenti di destra. Sono arrivati con un camion carico di spranghe e bastoni, misteriosamente ignorato dai cordoni di polizia. Si sono messi alla testa del corteo, menando cinghiate e bastonate intorno.
Circondano un ragazzino di tredici o quattordici anni e lo
riempiono di mazzate. La polizia, a due passi, non si muove.
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Sono una sessantina, hanno caschi e passamontagna, lunghi e grossi bastoni,
spesso manici di picconi, ricoperti di adesivo nero e avvolti nei
tricolori. Urlano “Duce, duce”. “La scuola è bonificata”. Dicono di
essere studenti del Blocco Studentesco, un piccolo movimento di destra.
Hanno fra i venti e i trent’anni, ma quello che ha l’aria di essere il
capo è uno sulla quarantina, con un berretto da baseball. Sono ben
organizzati, da gruppo paramilitare, attaccano a ondate. Un’altra
carica colpisce un gruppo di liceali del Virgilio, del liceo artistico
De Chirico e dell’università di Roma Tre. Un ragazzino di un istituto
tecnico, Alessandro, viene colpito alla testa, cade e gli tirano calci.
“Basta, basta, andiamo dalla polizia!” dicono le professoresse.
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Seguo il drappello che si dirige davanti al Senato e incontra il funzionario
capo. “Non potete stare fermi mentre picchiano i miei studenti!”
protesta una signora coi capelli bianchi. Una studentessa alza la voce:
“E ditelo che li proteggete, che volete gli scontri!”. Il funzionario
urla: “Impara l’educazione, bambina!”. La professoressa incalza: “Fate
il vostro mestiere, fermate i violenti”. Risposta del funzionario: “Ma
quelli che fanno violenza sono quelli di sinistra”. C’è un’insurrezione
del drappello: “Di sinistra? Con le svastiche?”. La professoressa coi
capelli bianchi esibisce un grande crocifisso che porta al collo: “Io
sono cattolica. Insegno da 32 anni e non ho mai visto un’azione di
violenza da parte dei miei studenti. C’è gente con le spranghe che
picchia ragazzi indifesi. Che c’entra se sono di destra o di sinistra?
È un reato e voi dovete intervenire”.
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Il funzionario nel frattempo ha adocchiato una telecamera e il taccuino: “Io non ho mai detto: quelli sono di sinistra”. Monica, studentessa di Roma Tre: “Ma l’hanno appena sentito tutti! Chi crede d’essere, Berlusconi?”.
“Lo vede come rispondono?” mi dice Laura, di Economia. “Vogliono fare passare
l’equazione studenti uguali facinorosi di sinistra”. La professoressa
si chiama Rosa Raciti, insegna al liceo artistico De Chirico, è
angosciata: “Mi sento responsabile. Non volevo venire, poi gli studenti
mi hanno chiesto di accompagnarli. Massì, ho detto scherzando, che voi
non sapete nemmeno dov’è il Senato. Mi sembravano una buona cosa,
finalmente parlano di problemi seri. Molti non erano mai stati in una
manifestazione, mi sembrava un battesimo civile. Altro che civile! Era
stato un corteo allegro, pacifico, finché non sono arrivati quelli con
i caschi e i bastoni. Sotto gli occhi della polizia. Una cosa da far
vomitare. Dovete scriverlo. Anche se,
dico la verità , se non l’avessi visto, ma soltanto letto sul giornale, non ci avrei mai creduto”.
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Alle undici e tre quarti partono altre urla davanti al Senato. Sta
uscendo Francesco Cossiga. “È contento, eh?” gli urla in faccia un
anziano professore. Lunedì scorso, il presidente emerito aveva dato la
linea, in un intervista al Quotidiano Nazionale: “Maroni dovrebbe fare
quel che feci io quand’ero ministro dell’Interno (…) Infiltrare il
movimento con agenti pronti a tutto, e lasciare che per una decina di
giorni i manifestanti devastino le città . Dopo di che, forti del
consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrÃ
sovrastare quello delle auto della polizia. Le forze dell’ordine
dovrebbero massacrare i manifestanti senza pietà e mandarli tutti
all’ospedale. Picchiare a sangue, tutti, anche i docenti che li
fomentano. Magari non gli anziani, ma le maestre ragazzine sì”.
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È quasi mezzogiorno, una ventina di caschi neri rimane isolata dagli
altri, negli scontri. Per riunirsi ai camerati compie un’azione
singolare, esce dal lato di piazza Navona, attraversa bastoni alla mano
il cordone di polizia, indisturbato, e rientra in piazza da via
Agonale. Decido di seguirli ma vengo fermato da un poliziotto. “Lei
dove va?”. Realizzo di essere sprovvisto di spranga, quindi sospetto.
Mentre controlla il tesserino da giornalista, osservo che sono appena
passati in venti. La battuta del poliziotto è memorabile: “Non li
abbiamo notati”.
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Dal gruppo dei funzionari parte un segnale. Un
poliziotto fa a un altro: “Arrivano quei pezzi di merda di comunisti!”.
L’altro risponde: “Allora si va in piazza a proteggere i nostri?”. “Sì,
ma non subito”. Passa il vice questore: “Poche chiacchiere, giù le
visiere!”. Calano le visiere e aspettano. Cinque minuti. Cinque minuti
in cui in piazza accade il finimondo. Un gruppo di quattrocento di
sinistra, misto di studenti della Sapienza e gente dei centri sociali,
irrompe in piazza Navona e si dirige contro il manipolo di Blocco
Studentesco, concentrato in fondo alla piazza. Nel percorso prendono le
sedie e i tavolini dei bar, che abbassano le saracinesche, e li
scagliano contro quelli di destra.
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Soltanto a questo punto, dopo cinque minuti di botte, e cinque minuti di scontri non sono pochi, s’affaccia la polizia. Fa cordone intorno ai sessanta di Blocco
Studentesco, respinge l’assalto degli studenti di sinistra. Alla fine
ferma una quindicina di neofascisti, che stavano riprendendo a
sprangare i ragazzi a tiro. Un gruppo di studenti s’avvicina ai
poliziotti per chiedere ragione dello strano comportamento. Hanno le
braccia alzate, non hanno né caschi né bottiglie. Il primo studente,
Stefano, uno dell’Onda di scienze politiche, viene colpito con una
manganellata alla nuca (finirà in ospedale) e la pacifica protesta si
ritrae.
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A mezzogiorno e mezzo sul campo di battaglia sono rimasti due
ragazzini con la testa fra le mani, sporche di sangue, sedie sfasciate,
un tavolino zoppo e un grande Pinocchio di legno senza più una gamba,
preso dalla vetrina di un negozio di giocattoli e usato come arma.
Duccio, uno studente di Fisica che ho conosciuto all’occupazione,
s’aggira teso alla ricerca del fratello più piccolo. “Mi sa che è
finita, oggi è finita. E se non oggi, domani. Hai voglia a organizzare
proteste pacifiche, a farti venire idee, le lezioni in piazza, le
fiaccolate, i sit in da figli dei fiori. Hai voglia a rifiutare le
strumentalizzazioni politiche, a voler ragionare sulle cose concrete.
Da stasera ai telegiornali si parlerà soltanto degli incidenti, giorno
dopo giorno passerà l’idea che comunque gli studenti vogliono il
casino. È il metodo Cossiga. Ci stanno fottendo”.
(30 ottobre 2008)
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